Fridays For Future Italia definisce correttamente l’aumento delle temperature, l’inquinamento, la desertificazione, la scarsità di acqua e cibo come effetti della crisi climatica ed ecologica che stiamo sottovalutando nonostante la distruzione dell’ambiente in cui viviamo porterà necessariamente al tracollo di settori interi dell’economia e della società.
Non c’è distinzione possibile tra diritti sociali e del lavoro e il diritto ad un ambiente salubre ed in salute. Il mercato globale non agisce con due tempi differenti. Risponde alle crisi contemporaneamente schiacciando i diritti di tutt@ ed i salari sotto i livelli di sussistenza, da un lato, e sottoponendo l’ambiente alle devastazioni provocate dalla valorizzazione capitalistica del territorio, dall’altro. Come con le guerre si distruggono forze produttive e infrastrutture per “ricostruire” e rilanciare i profitti, allo stesso modo si devastano valli, monti, mari e città per fare diventare tutto l’ambiente “profittevole”.
Così le disuguaglianze sociali e tra aree del pianeta, già aumentate a dismisura per via delle politiche liberiste, impenneranno ulteriormente scaricando anche i costi ambientali sugli ultimi: lavoratrici e lavoratori, disoccupati, donne, giovani, migranti e popoli delle periferie del pianeta.
In cima invece governi ed un pugno di aziende private, speculatori finanziari e spa pubbliche (di capitale pubblico, ma di diritto privato) impongono le leggi di mercato provocando la crisi globale, traendone profitto immediato senza pensare al futuro di tutt@, e mettono in moto la propaganda che pubblicamente nega il problema.
In questo appello #FridaysForFuture coglie a pieno il nesso tra questi problemi rivolgendosi alle lavoratrici ed ai lavoratori come “interlocutori ineludibili”, perché tutto questo pregiudica il futuro di tutt@ – nostro, dei nostri figli e dei nostri nipoti – oltre a pregiudicare il presente.
I casi TAV e ILVA-Arcelor Mittal sono eclatanti. Il modello attuale non concepisce una soluzione che non richieda il sacrificio, sull’altare del profitto, della salute tanto degli operai che di chi vive attorno a questo tipo di attività produttive e opere inutili. Dentro questo modello una “riconversione ecologica” è una chimera senza una spinta ed un movimento di massa che la pretenda e la imponga.
E allora se il modello non funziona va cambiato il modello. Scegliere cosa produrre, quanto produrre, quanto lavorare e come lavorare è una risposta interna e non “altra” rispetto alla battaglia e all’appello di FFF Italia.
No al lavoro nocivo precario e sottopagato, per un vero reddito di autodeterminazione, ridurre l’orario per lavorare meno tutti e meglio, produrre il necessario, redistribuire tutto.
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