#EarthStrike per i cambiamenti climatici. In piazza il 27 settembre servono anche i #WorkersForFuture

di Riccardo De Angelis – Il 27 settembre riprende la mobilitazione dei #FridaysForFuture, sigla che è riuscita in un clima di passività assoluta ad accendere i riflettori sul pericolo derivante dal sempre più rapido cambiamento climatico che sta operando sul nostro pianeta.

Se la questione ecologica è già uno dei pilastri per la difesa o il miglioramento delle condizioni di vita ci preme sostenere questo appuntamento e questo movimento per un motivo in più in questo autunno che si avvicina.

Innanzitutto questo movimento per lo più giovanile, e sappiamo quanto bisogno abbiamo di nuove generazioni disponibile alla lotta, si è rivolto apertamente e formalmente ad una categoria ormai desueta in molti dibattiti…alle lavoratrici ed ai lavoratori!

Con questa lettera aperta che vi invitiamo a leggere con attenzione , hanno colto i punti salienti della questioni e le debolezze attuali su cui lavorare.

“Lavoratrici e lavoratori: per noi siete interlocutori ineludibili“: questa frase sintetizza quanto il tema ci riguarda e quanto il 27 settembre è anche un nostro appuntamento da non rimanere a guardare, magari con gli occhi benevoli di chi ammira disincantato i volti sognanti delle nuove generazioni, semplicemente perché ci siamo fatti monetizzare la salute sulle piattaforme sindacali e non troviamo più nelle rivendicazioni il diritto ad un lavoro dignitoso e che non abbia ripercussioni sociali negative.

Tutto è sottoposto al profitto, cosi si giustificano gli accordi come quello all’Arcelor Ex-Ilva accettando di essere avvelenati per un salario misero e precario, quando fu proprio da una vertenza degli operai addetti alla produzione di amianto che si riuscì a bandirne la produzione.

E’ anche vero che nella grave transizione economica che stiamo vivendo ormai da un decennio in maniera feroce, l’obiezione più forte che ci viene presentata è che, intanto, si sopravvive al presente “garantendo” un salario, che dalla crisi si esce lavorando di più e accettando salari e condizioni peggiori. Cosi le OO.SS. si assumono le responsabilità di far passare il punto di vista padronale vendendoci questa situazione come soluzione unica con il “meno peggio”.

La verità è tutt’altra ed è ora di cominciare a gridarla con forza. Chiedere un cambiamento del modello di sviluppo economico per impedire un irreversibile cambiamento climatico che porterebbe a devastazioni ambientali che si ripercuoterebbero inevitabilmente sugli strati più deboli della società non fosse altro per la riduzione drastica dell’accesso alle risorse naturali.

D’altra parte lo sfruttamento attuale del modello iperliberista è basato proprio sull’accettazione, sotto il ricatto della prospettiva della povertà, di lavori precari, mal pagati e anche nocivi. In termini ambientali, in termini di stress (e tecno-stress), con l’introduzione di forme di neo-cottimo e in termini di intensificazione dei ritmi di lavoro spesso dettati dai modelli di controllo di algocrazia e capitalismo digitale. Difficile slegare quindi i temi della giustizia sociale da quelli della giustizia climatica e dal modello produttivista dominante.

Qualcosa in alcuni paesi comincia a muoversi anche nel cosiddetto mondo del lavoro storicamente “impaurito” dalle lotte ambientaliste. In #Germania, al contrario dei chimici della Ig Bce, i metalmeccanici con il più grande sindacato tedesco, l’Ig Metall, ha organizzato questa estate una manifestazione per chiedere “una transizione ecologica e giusta”. E proprio in questi giorni i vertici di quel sindacato stanno discutendo l’adesione il 20 settembre al primo #EarthStrike convocato dai Fridays for Future.

A #Belfast, nell’Irlanda del Nord, lo storico cantiere navale Harland and Wolff che diede i natali al Titanic che rischia di chiudere i battenti con centinaia di licenziamenti, è stato occupato a fine luglio dagli operai che chiedono che il governo pubblicizzi l’azienda e la trasformi in un centro d’avanguardia nel settore delle #rinnovabili.

Dunque se questi pericoli non vi sembrano troppo lontani per prenderli in considerazione, allora il 27 settembre scendiamo in piazza per mettere all’ordine del giorno soluzioni che abbiano un impatto immediato e strutturale sulla disoccupazione e sul reperimento di risorse e per investimenti che possano rilanciare l’economia avvizzita proprio dall’esaurimento stesso dei suoi meccanismi di riproduzione.

Lo stesso Ministero dell’Ambiente ha prodotto un depliant in cui individua un risparmio netto per le imprese di 604 miliardi di € in tutta l’UE, con il passaggio ad un sistema basato su un’economia circolare (cioè riciclo, riuso dei rifiuti prodotti) piuttosto che l’attuale modello basato sull’economia lineare (estrazione risorse, consumo, accumulo rifiuti). Tale risparmio oltre a contribuire alla riduzione tra il 2 e il 4% del gas che grava sull’effetto serra, produrrebbe grazie all’aumento del 30% delle risorse un innalzamento delle marginalità e un sostanzioso incremento dei posti di lavoro.

Immaginate le nostre metropoli libere dai cumuli dell’immondizia, viceversa costruire un modello economico che trasformi le 4,5 tonnellate di rifiuti pro-capite di ogni cittadino europeo in una risorsa che ci restituisce energie e benessere sociale.

Oggi la tecnologia ci permette di poter guardare ai rifiuti come una risorsa per produrre energia, produrre beni e contestualmente azzerare l’occupazione del pianeta da residui inquinanti e inutilizzabili, ma allora cosa ci impedisce questo passaggio?

La risposta è semplice e il movimento che ci chiama a scendere in piazza con loro l’ha già capito. La stessa governance di questo paese lo ammette candidamente nel depliant. In sintesi chi oggi è in cima alla catena alimentare del profitto non vuole allontanarsi dal modello di economia lineare perché chiaramente i cambiamenti economici portano ai cambiamenti di leadership politica e sociale. Perché il business delle ecomafie vedrebbe un drastico crollo, perché il ricatto della scarsità di salario e di risorse è una potente frusta per addomesticare qualsiasi bestia sociale si possa presentare.

E questo è proprio il motivo che una rinnovata consapevolezza del proprio ruolo e delle proprie necessità dei lavoratori e lavoratrici di questo paese debba tornare a farsi sentire. Il 27 settembre è il primo prossimo appuntamento per dare un segnale in questo senso. Un segnale che viene anche in una finestra temporale di confusione politica figlia di una crisi di governo che seppure sta mostrando tutti gli interessi autoreferenziali delle forze parlamentari è altre sì vero che si è scatenata sull’onda delle contraddizioni che movimenti determinati come lo storico NO TAV e la più recente opposizione al Decreto Pillon, dimostra quanto alla fine di tutto le mobilitazioni consapevoli hanno il loro peso anche nell’era digitale.

Ecco perché vogliamo costruire questa consapevolezza nei luoghi di lavoro dove siamo e contribuire a questa nuova alleanza tra nuove e vecchie generazioni di sfruttati.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.