Ciclo lungo reazionario, opposizione, movimenti e conflitti. Una riflessione

Salvini apre la crisi di governo, ma non sappiamo se a Ottobre effettivamente si voterà o se prima si approverà la Legge di Bilancio con qualche governo di “responsabilità” che tratterà con la UE l’aumento dell’IVA

Non ci interessa ora addentrarci in ipotesi elettorali. Riteniamo urgente una riflessione sul ciclo lungo in cui si inseriscono questi scenari. Capire quale opposizione è necessaria allo slittamento a destra che sembra inarrestabile da anni è urgente per i movimenti di lotta. La recente approvazione del Decreto Sicurezza bis da parte del governo Lega-M5S e le ruspe del PD a Bologna per lo sgombero del Xm24 ci forniscono gli elementi di fondo che portano alla luce l’inseguimento a destra tra le principali forze politiche parlamentari in un ciclo lungo reazionario.

Un ciclo che non è partito con Salvini e non si fermerà dopo di lui. La Lega ne è la parte che incarna la variante sovranista xenofoba che solletica gli istinti più beceri non solo nelle classi popolari, ma anche e soprattutto di settori economici basati sulla piccola e media impresa. Ed è dentro questo quadro che vanno pensate battaglie esemplari e provate nuove alleanze riflettendo sul fatto che nessuna forza politica, ma solo i movimenti No TAV e NUDM, sono riusciti ad aprire contraddizioni forti o impedire alcune misure governative come quelle sullo sblocco dell’Alta Velocità in Val di Susa e il DL Pillon.


Salvini apre la crisi di governo in queste ore dopo aver incassato due successi, su Decreto Sicurezza bis e TAV, lanciando così l’assalto finale all’elettorato M5S e minacciando elezioni anticipate in cui lo scenario sarebbe un nuovo governo di ultradestra Lega-Fi-FdI. Mentre scriviamo non sappiamo se a Ottobre effettivamente si voterà o se prima si approverà la Legge di Bilancio con qualche governo tecnico o di “responsabilità”. Scenario più probabile, questo, visto che il governo italiano lo deve presentare alla UE entro il 15 Ottobre per poi presentarlo alle Camere.

Sul piatto c’è lo spauracchio dell’aumento dell’IVA al 25% che inciderebbe pesantemente sul carovita in un paese con fasce povere e di working poor sempre più ampie e dove centinaia di migliaia di giovani lavorano come autonomi (veri o falsi) con redditi bassissimi. Un nuovo governo Salvini probabilmente non si vorrà assumere questa responsabilità, ma anzi vorrà giovarsi elettoralmente del fatto che il provvedimento del diktat europeo sarà cosa fatta ma non ne sarà stato lui l’artefice che, al contrario, invece le tasse le vuole “tagliare” (ai ricchi e alle imprese). Flat tax e autonomia differenziata saranno le sue battaglie una volta che i diktat della troika saranno assunti senza doverci trattare (e cedere) lui.

Non ci interessa, però, addentrarci nelle ipotesi elettorali quanto riteniamo urgente una riflessione sul ciclo lungo in cui si inseriscono questi scenari. Questo perché un tema che verrà ampiamente utilizzato nella campagna elettorale sarà quello del pericolo democratico rappresentato (indubbiamente) da un governo di ultradestra. Il tema della “sicurezza” domina e sta dominando da anni lo scenario politico e soprattutto influenza (e avvelena) il clima sociale. Capire quale opposizione è necessaria allo slittamento a destra che sembra inarrestabile da anni è quindi urgente per i movimenti di lotta.

La recente quasi contemporanea approvazione del Decreto Sicurezza bis da parte del governo Lega-M5S e le ruspe del PD a Bologna per lo sgombero del centro sociale Xm24 ci fornisce, infatti, gli elementi di fondo che portano alla luce l’inseguimento a destra che è in atto nel nostro paese tra le principali forze politiche parlamentari.

Il modello Salvini (con il Decreto Sicurezza 1 e 2) con le sue limitazioni alle libertà individuali, il suo modello sanzionatorio e autoritario disumanizzante anti-immigrati e anti-solidarietà, i tagli ai servizi sociali dell’accoglienza, la repressione del dissenso, non è solo (ovviamente anche) il parto di una torsione razzista del nostro ordinamento da parte dell’attuale Ministro degli Interni. Piuttosto è un allargamento in senso fascistoide di un processo già ampiamente in atto da anni per gestire la crisi in senso reazionario.

La governance neoliberale della crisi richiede, infatti, una limitazione di tutte le libertà ed i diritti finora conosciuti. E’ un ritornello che in questi anni abbiamo sentito ripetere da tutti i governi Monti, Renzi, Letta, Gentiloni fino al recente governo Conte e a cui Confindustria ha fatto sempre eco.

Questo processo ha invaso molti campi ed è stato preceduto e accompagnato da un discorso politico pubblico incentrato sulla limitazione di vari diritti precedentemente acquisiti. La limitazione delle libertà individuali per combattere il “terrorismo”, quella dei diritti sul lavoro per sperare nella continuità di un misero reddito, quella delle spese sociali e servizi pubblici se si vuole pagare il debito. Fanno parte del “pacchetto” anche le limitazioni tentate ma ancora non riuscite, per le forti opposizioni incontrate, come quella dei diritti delle donne alla propria autodeterminazione in nome della salvaguardia della “famiglia” (patriarcale) oppure della Costituzione in nome della non limitazione delle leggi di mercato con la riforma renziana bocciata da un Referendum.

Proprio per questo un altro degli obiettivi di questa politica securitaria, che sta rendendo “ordinaria” una gestione “emergenziale” della limitazione dei diritti e delle libertà individuali e collettive, è proprio quello di ostacolare e impedire che l’opposizione alle misure che i governi prenderanno si sviluppi nelle piazze visto che in Parlamento ormai da anni opposizione vera non se ne vede. In questo senso dobbiamo registrare come non ci sia stata forza politica che, dentro o fuori il Parlamento, abbia saputo mettere in difficoltà le misure di questo governo né abbia saputo aprire contraddizioni a Salvini. Deve far riflettere piuttosto come gli unici punti di scontro pubblici reali sono stati determinati fuori dall’attuale assetto parlamentare su temi quali l’accoglienza (anche se con evidenti enormi difficoltà), ma soprattutto dal movimento No TAV e da Non Una di Meno. Infatti, solo nelle discussioni sui dispositivi per la TAV, dopo le manifestazioni in Valle che non mollano la presa, e quelli sul DL Pillon, con le enormi manifestazioni come 8 marzo e Verona, si è stati in grado di impattare e aprire contraddizioni nel governo (e nel caso del Pillon anche nel PD).

Il populismo “bonapartista” dall’alto, d’altra parte, ha conosciuto diverse forme in questi anni (Berlusconi-Renzi-Salvini), ispirato ora da europeismo e “modernizzazione” neoliberista, ora da particolarismi di specifici settori geo-economici e nazionalismi xenofobi. Ma si è sempre iscritto in un tentativo di alimentare una passivizzazione di massa, attraverso la sfiducia nella politica in generale e l’istigazione della guerra tra poveri nei diversi settori del complesso corpo sociale attuale e con una contrapposizione di interessi tra generi, generazioni o etnie. E, come dimostra il governo gialloverde a traino Lega, il differente modello di gestione sociale e repressivo, i differenti linguaggi della propaganda rivolta a settori sociali differenti, non impediscono nemmeno oggi un compattamento bi(tri)partisan sugli interessi del cosiddetto “partito delle imprese” per la TAV ad esempio.

Non è un caso che il modello reazionario leghista incarnato del Decreto Sicurezza è sicuramente il più becero e retrivo fin qui conosciuto, e prepara giorni ancora più bui per il prossimo futuro, ma è figlio legittimo di due provvedimenti legislativi di cui il PD è compartecipe in uno e artefice diretto dell’altro: il DASPO nelle aree metropolitane e il decreto Minniti.

Il DASPO era nato in quel laboratorio repressivo e di controllo sociale che sono gli stadi di calcio (la sigla sta appunto per “Divieto di Accesso alle manifestazioni SPOrtive”) ed era già stato introdotto negli anni ’90 per poi consolidarsi, fino alle forme attuali, dal 2001 al 2007 con diversi Decreti convertiti in Legge sia dai governi Berlusconi che Prodi (Legge Pisanu e Legge Amato ad es.). Questo modello legislativo istituisce uno strumento repressivo del tutto arbitrario, di tipo “preventivo”, perché consente di procedere all’allontanamento da aree geografiche metropolitane i soggetti colpiti sulla base di una segnalazione e non necessariamente dopo una condanna. Introducendo inoltre in questi anni, sia negli stadi che alle manifestazioni, l’aberrazione legislativa della “flagranza differita”. Ossia, la possibilità di considerare, anche diversi giorni dopo, la gravità di un presunto reato come se colto in flagranza sulla base di documentazione video-fotografica o addirittura con riconoscimento a “vista” senza identificazione.

L’allargamento definitivo e ufficiale del DASPO, fuori dagli eventi sportivi negli ambiti “civili”, è avvenuto proprio col decreto Minniti (D.L. 14/2017) che lo estende a norma dal rispetto per la “legalità” in generale affiancandovi anche il concetto di “rispetto del decoro urbano”.

Anche in questo, oltre che nella lotta contro le ONG e nelle restrizioni all’accoglienza, il piddino Minniti è padre putativo di Salvini. Il decreto Salvini (D.L. 113/2018), relativo a immigrazione e sicurezza urbana, parte infatti su questi aspetti da quello di Minniti e ne estende le aree di applicazione agli ospedali, fiere, mercati ed alle strade in generale. Ma la criminalizzazione delle forme di lotta come il blocco stradale e il blocco ferroviario, ad es., erano già presenti.

In piena sintonia con questo andamento questa estate, oltre alle ruspe PD di Merola, abbiamo assistito all’assunzione di un nuovo modello repressivo da parte della giunta Sala a Milano che con una delibera ha modificato il regolamento di Polizia Municipale introducendo proprio il cosiddetto “allontanamento” da zone specifiche. E Sala lo ha fatto con un impianto di classe preciso che individua (oltre alle aree definite dai decreti) undici aree specifiche, delle zone “privilegiate” in cui il provvedimento può essere attuato dagli agenti. Si tratta di proteggere zone di “valore” e le classi agiate milanesi che a Milano, e nel resto del paese, sono diventate la base elettorale del PD che questo partito non vuole “perdere” nel clima dettato dall’onda reazionaria del governo gialloverde. Non a caso questo provvedimento in Consiglio Comunale è stato votato, oltre che dal PD, dalla Lega, Forza Italia e M5S.

Il leit motiv su cui si basa questo provvedimento da esattamente la cifra di questo inseguimento a destra in atto da anni. Si basa sull’assunzione, senza supporto nemmeno di veri dati che testimonierebbero un’emergenza basata sul paradigma della “sicurezza” o del “disordine percepito”.

E le parole pubbliche del sindaco Sala e della vicesindaco Scavuzzo mostrano esattamente di cosa stiamo parlando: “…a Baggio perdiamo perché ci sono i rom”; “i venditori abusivi impediscono l’utilizzo dei mezzi pubblici”; “le grigliate degli stranieri impediscono l’uso dei parchi pubblici”.

Questo paradigma si basa sulle paure percepite e indotte (ossia sul nulla) estendendo addirittura i modelli repressivi di Minniti e Salvini, al controllo del territorio per la difesa di aree geografiche valorizzabili e contro modelli sociali devianti non basati su “reati”. Occupanti, abusivi, graffitisti, persone che “disturbano”, semplici comitive…una vera guerra contro i “poveri”.

D’altra parte come non riconoscere in questo modello di governance del territorio di Sala (e di Merola) le parole d’ordine delle campagne elettorali passate del sindaco sceriffo di Bologna Cofferati e di Rutelli a Roma? Due candidati sostenuti dal PD.

Già nel 2005 il sindaco Cofferati tuonava infatti dai mezzi di informazione: “Sicurezza, sinistra sveglia”. E giù sgomberi delle case occupate, ruspe sul Lungoreno per abbattere le baracche dei poveri, campagne contro i “lavavetri aggressivi” nei confronti degli automobilisti, campagna anti-graffiti. Addirittura ordinanze che vietavano il piercing nelle zone genitali o che imponevano la chiusura anticipata dei locali notturni e che proibivano il consumo di alcolici all’aperto. Persino i cattolici e il mondo del volontariato si infastidirono per via di quei “metodi autoritari”.

E, pochi anni dopo gli fece eco Rutelli nel 2008 nella campagna elettorale che perse contro Alemanno (che ad alimentare le paure cavalcando il tema sicurezza era più credibile e ne fece fonte di affari fascio-criminali dentro Mafia capitale) con dichiarazioni del tipo: “sulla sicurezza riflettere sui limiti della sinistra”, “Le occupazioni non saranno tollerate” fino a proporre una “commissione consultiva per la sicurezza” ed il braccialetto elettronico per le donne come strumento per chiamare aiuto in caso di aggressione.

E’ bene quindi comprendere che dovremmo lavorare alla costruzione di un nuovo blocco sociale dentro un lungo ciclo reazionario che faccia opposizione a Salvini, ma che l’opposizione politica e sociale non ha ad oggi sponde parlamentari ed esclude la convergenza sull’ipotesi di un CLN anti-leghista del PD. Salvini è il nemico principale dell’oggi (e visto l’andazzo probabilmente anche di domani), ma il ciclo non è partito con lui e non si fermerà dopo di lui. Salvini ne è una parte che incarna la variante sovranista xenofoba che solletica gli istinti più beceri non solo nelle classi popolari, ma anche e soprattutto di settori economici basati sull’esistenza  della piccola e media impresa.

E proprio per questo non servirà una scorciatoia, che qualcuno anche a sinistra ventila, di “sottrarsi” alla battaglia sul diritto dei migranti agli sbarchi e all’accoglienza, perché come scrive Dinamo Press: Se passa il principio per cui la sovranità statale o la volontà del governo non hanno limiti, e dunque possono incidere sui diritti indisponibili fino a negare quello alla vita, gli «immigrati irregolari» di domani non arriveranno sulle navi delle Ong, ma saranno i lavoratori in sciopero, i giovani che chiedono giustizia ambientale o le donne che si battono contro la violenza maschile.

Le politiche di espulsione, di respingimento e l’esternalizzazione delle frontiere alla Libia, partono da Minniti per arrivare a Salvini, che le ha esasperate con i “porti chiusi” e la guerra ideologica alle ONG. Ma dentro i “confini” lavoro, diritti e welfare verranno sempre di più destrutturati creando consenso proprio dalla miccia della guerra tra poveri da un punto di vista sociale e intersezionale (ricchi vs poveri, uomini vs donne, vecchi vs giovani), da quello delle esclusioni dal punto di vista giuridico (cittadini vs non cittadini, italiani vs stranieri) o delle divisioni geografiche (nord vs sud).

Lo smantellamento delle politiche pubbliche e del welfare continua, come coi precedenti governi a guida PD, in nome della legalità e della difesa degli interessi privati. Una forma aggressiva di lotta di classe dall’alto contro i poveri e i subalterni. Ed è in questo campo che vanno pensate battaglie esemplari e provate nuove alleanze.

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